Esiste una razionalità precisa, una regola di r-esistenza che adotta la passiflora ogni primavera, quando decide di togliere risorse ad un ramo per andare a nutrirne un altro. E’ una pianta da mappare, disseminata com’è di bivi ai quali ha preso una decisione, e attraverso tale perfezione è stato facile operare chirurgicamente, risalire all’origine, trovare il punto esatto in cui tagliare i rami secchi, ed esercitarmi ad un tempo a riflettervi in essa i miei.
Pettinando i rami nuovi, tra i boccioli della passiflora ho scoperto il primo fiore del lillà. Circa 1 anno fa scrissi su Facebook che se fosse fiorito avrei ricominciato a scrivere sul blog, oggi mi piace pensare che quest’anno, dopo essersi fatto attendere per sette, abbia deciso di fiorire perché io ho ricominciato a scrivere sul blog.
Oggi poi , che lo conto come il giorno 52, perché sono 52 giorni che un mio carissimo amico avrebbe dovuto essere morto, fra le lamiere di un’auto da cui lo hanno estratto tagliandole, o paralizzato, come lo davano allo scioglimento della prognosi, dopo nove ore di intervento alla spina dorsale. Ogni volta che mi è passato un Pegaso sulla testa nelle ultime settimane, e purtroppo ne sono passati diversi, ho avuto i brividi, chiedendomi se stesse volando da qualcuno che amo. Si dice che i traumi si sedimentino al buio, da qualche parte in silenzio nella nostra mente, e che si ancorino poi per crescere, come fa la passiflora quando si fa crescere addosso dei sottili filamenti con cui si aggancia a qualcosa di stabile per essere più forte. La miglior cosa da fare coi traumi è fare qualcosa con essi, prima che loro facciano qualcosa di noi, e oggi posso scegliere di agganciare Pegaso al mio giorno 52, che è il giorno in cui, in un video, alle sbarre in una palestra l’ho visto camminare di nuovo.
Il bivio ha questo che mi piace: ha un prima e un dopo, non ha un più o un meno, ha un altrove.
Nella solitudine della mia quarantena ho scoperto l’altrove, che è fatto di piccole e immense cose, Chicca che non annusa più il bocconcino che le do dal tavolo perché sa che qualunque cosa venga dalla mia mano è buona, la voce della mia migliore amica che trema mentre si concede di mostrare un po’ del suo cuore, ritrovare un’altra me dentro un libro poggiato lì e snobbato per 5 anni, il piacere di scrivere i post con carta e penna, con le cancellature, le graffe, i numeri e le frecce, osservare come sto diventando una donna morbida e riscrivere nel mio corpo posture e atteggiamenti, bere un bicchiere di vino ghiacciato in terrazza col sole che scende, la musica che amo, e sentire che mi mancano tutti, ma che davvero, finalmente, per la prima volta da che ho memoria di ragazza, non mi manca nessuno.